lunedì 2 febbraio 2015

Del come e perché ho iniziato a fare karate (e perché non andrò in altre palestre. A meno che...)

E oggi, amici miei, ma anche nemici miei eh, con cosa vi tedierò? Direi che potrei parlarvi di questi vent'anni di arti marziali. Così, tanto per attirarmi altro odio imperituro da altri praticanti.

Ci siete? Iniziamo.

Inizia tutto a cinque anni

Yeah, cominciamo bene. O magari anche prima, ma diciamo che quell'età fu più o meno l'arrivo dei film di Hong Kong di serie sotto-Z, emuli dei film di (e chi se no) Bruce Lee. Per dire.
Per dire, appunto
Niente da dire: lui, e i suoi meno famosi (ma IDENTICAMENTE truccati) emuli, invasero la mia fantasia, unitamente (ovvio) ai numerosi eroi degli anime Tatsunoko: da Hurricane Polymer (lo so lo so, in Italia è Polymar, e a me frega zero, toh :-P ), a Casshern (rileggi la parentesi precedente :-P ), per finire con Sua Maestà Picchiatrice Kenshiro e (meno) i Cavalieri dello Zodiaco, era un fiorire di pose fighe e colpi letali. Alla fine in fondo è vero che i cartoni animati influenzano.

Solo che per una serie di piccole complicazioni (leggi: soldi personali zero e genitore del tutto refrattario all'idea di farmi fare casa-città e ritorno per allenarmi in qualcosa che boh!), almeno fino alla maggiore età e un po' di più ciccia Mentore, niente karate, niente Kung Fu, ciccù ciccù.

E venne il giorno che

alla fine 'sto sfizio me lo dovevo togliere. Anche qui, fortunata serie di coincidenze, leggi "Ero finalmente libero e solo in casa mia": che tradotto significa più o meno "A 22 anni, vita sociale zero ma con una certa capacità di muovermi", scoprii che c'era una palestruccia vicino casa mia che ospitava un corso di karate. Questa piccola società sportiva, con una quarantina di atleti in totale, si chiamava Kosmos Club Pisa ed era (è) diretta dal M° Prof. Gianni Tucci.

Figo eh? Fatto io. Più o meno.
Cioè tipo, il colore non l'ho deciso io.

Al primo allenamento facciamo quel che definì "un po' di riscaldamento": dopo venti minuti SVENNI. Nonostante non fossi esattamente un tombolone di lardo (venivo da sei mesi di pesistica e dieta) andai giù come un saccaccio di letame e cominciai vagamente a intuìre che sarebbe stato un periodo interessante.

By the way, questo è il sito internet della palestra, scritto da me con le mie manine sante in XHTML, tutto a mano (CSS e automazione compresi) (riapro la parentesi per te, web agent che magari l'hai visto e hai appena finito una confezione di Plasil: lo so, lo so, è a dir poco infantile, ma capiscimi, ho fatto davvero tutto da solo e senza poter consultare nessuno. Pietà. Un po' almeno, ti va?)

MA COMUNQUE

la cosa mi prese più o meno WOW URCAVE' YEAH. Insomma, la presi con un certo entusiasmo.
Giusto un minimo.
Ricordo benissimo le prime lezioni, che seguivo in qualsiasi modo: mi ero ritrovato (causa orari) a seguire un corso per "avanzati" e mi toccava trottare non poco. Ricordo per esempio la spiegazione (pratica) del senso di "kime", ossia l'idea del "fissare" il colpo nel bersaglio. Il mio senpai (l'allievo più anziano) disse:

"Questo è senza kime" e mi tirò un colpo al collo con il taglio della mano.
"Questo è con kime" e quasi svenni. E due.

E alla prima settimana "Bene, ora combattete un po'" e io:
WTF
eppure andò esattamente così. Cominciai, proprio quella terza lezione, a capire che c'erano differenze tra i corsi, gli insegnanti e il modo stesso di intendere un'arte marziale. Ero a malapena alla superficie. Però presi un sacco di botte lo stesso.

Vabbe', saltiamo direttamente avanti e facciamo un

elenchino un po' nostalgico

di alcune delle cose che mi sono successe in quel periodo. "Un po'" perché le mazzate prese non è che me le ricordi con gioia & allegria & gaudio.

Tra le varie cose:

  • Le mazzate prese, nonostante mi sia fatto, in realtà, maluccio
  • Il confronto con un sacco di gente
  • Un maestro che il suo lo sapeva e lo sa benissimo senza millantare straordinarie conoscenze, e che alla fine mi ha insegnato anche un po' di tai ji quan e qi gong
  • Gli allenamenti a volte estenuanti
  • L'esame che feci una volta che ero troppo stressato e in palestra cadevo a terra, che si concluse con il medico che mi chiedeva "Ma Siesto, a lei, chi cavolo le ha detto che è malato? Lo sa che sta sviluppando 255 W in questo momento, e nemmeno ha l'affanno?" E io "Ehm"
  • Le poche (ma soddisfacenti) esperienze di gara
  • La compagna di palestra che, ai campionati italiani CSEN, mi SALTA ADDOSSO urlando "SEI ARRIVATO PRIMO, SEI ARRIVATO PRIMO!" con me che faccio un'espressione tipo "Scusate, cosa sta succedendo di preciso?" ed era la prima di una piccola serie di medaglie d'oro
  • Il primo dan preso in piena pubalgia, seguito da due anni di fermo e preparazione differenziata (Sentirsi dire dal fisioterapista: "Stavi quasi per perdere la gamba, eh, ma ti stai riprendendo bene" non ha prezzo. Anche sentire la gamba che si blocca e cadere a terra, però...)
  • Gli incontri interstile e con praticanti di altre arti marziali, che mi hanno fatto capire quanto io fossi e sia impreparato e poco allenato
  • Gli stage con altri maestri di karate e non (kali, jujutsu, coltello, hung gar, tai ji quan, makotokai karate, shidokan...) che mi hanno fatto radicalmente cambiare il punto di vista sul karate che praticavo
  • Le donne (eh sì)
  • Gli "sfoghi" al sacco, il sabato mattina (di solito dopo tre minuti qualcuno si affacciava alla porta del dojo e diceva "Ah eri tu? Pensavo fossero i botti di capodanno")
  • Gli allenamenti assurdi che si inventava il senpai per arrivare a risultati decenti in tempi brevissimi (tipo avanzare con un compagno di 92 kg, attaccato alla cintura, che strisciava sul tappeto)
  • Le donne (già)
  • I momenti di epifania in cui capivo che certi movimenti diventavano immediatamente applicabili in combattimento, se solo...
  • Gli incontri con altri atleti che mi chiedevano "Scusa, ma tu che stile fai?" "Shotokan" "Ma è molto diverso da quel che faccio io!" "Problemi tuoi :P "
  • Le magnate di fine anno con gli altri compagni di mazzate
  • Le donne (l'ho già detto?)
  • ...
Eccetera, eccetera, eccetera. Troppe ce ne sono da dire.

E però anche in questo ambiente ne ho viste di tutte, per esempio:

IL MAESTRONE

Trattasi, di norma, di persona che - per un motivo o per l'altro - è arrivata a gestire una società sportiva. A differenza di chi fa onestamente il suo sporco lavoro, magari con buone conoscenze di biomeccanica e/o medicina sportiva (e ne ho conosciuti tanti così, gente onesta e capace), il MAESTRONE di norma:
  • Tratta tutti allo stesso modo e fa fare gli stessi movimenti a tutti nello stesso modo. Da vent'anni almeno.
  • Parla tantissimo di "tradizione", "Via", "spirito", "evoluzione del carattere" e poi domenica prossima però c'è la gara e gli dobbiamo spaccare il culo a quelli
  • Disquisisce con sussiego di termini e tecniche di cui non conosce la pronuncia,  men che meno il significato
  • Guarda con sussiego tutti gli altri e finge di essere là solo perché se no proprio non si sapeva come fare senza di lui
  • Rifiuta qualsiasi tipo di confronto perché "LUI SA"

LO ZELOTA

Tipico "sfegatato", guarda con reverenza simile all'adorazione il maestro (specie se Maestrone) di turno e disprezza tutti gli altri.

Esempio classico.
Io (osservando una postura scorretta): "Dovresti provare a tirare indietro l'addome e fare anteroversione del bacino..."
Lui (con disprezzo): "Ma mi vuoi insegnare il karate a me? Ma vai, vai"
Tre secondi dopo: "Maeesstrooo ma il bunkai di questo kata me lo insegnaaaa?"

L'AGONISTA SUPER

che si distingue sia da quello "del dopolavoro" (tipo me), sia dal professionista serio, perché è sostanzialmente uno che ha avuto una piacevole carriera agonistica in circuiti non straordinariamente alti, ma crede di essere un superuomo. Su questo è meglio stendere un velo pietosissimo, anche perché mi viene il prurito alle manO.

IL NUOVO CHE AVANZA

Tipicamente cintura nera da relativamente pochi anni (5, 10), di solito capisce che magari non è tutto veramente come voleva lui e, appena gli capita un'occasione, apre una palestra o entra in una società sportiva e comincia a spargere ampie tonnellate di letame su tutti coloro che l'hanno preceduto (compresi, anzi soprattutto, i suoi insegnanti) asserendo che sì, ora finalmente i tempi sono maturi per la VERA evoluzione: LA SUA.
Non tiene conto dei diecimila che l'hanno preceduto e degli altrettanti che faranno la sua stessa fine: il nulla.

IL PRATICANTE CHE OH MAMMA MIA MA DAVVERO?

"Praticamente innocuo", direbbe la Guida Galattica per gli Autostoppisti. Di norma passa la sua intera vita di praticante nella stessa palestra, accontentandosi e anzi vivendo felice di quello che gli passano gli insegnanti - che molte volte tra l'altro è roba assolutamente onesta, magari non la créme de la créme però oh, buttala via.
Solo che spesso e volentieri non è esattamente allenatissimo.
E spesso e volentieri non è nemmeno tanto tecnicamente preparato.
E spessissimo non lo sa.
E quando gli arriva un pugno di solito lo prende in pieno naso invece che difendersi.
E rimane fermo perplesso chiedendosi come mai, in fondo in palestra ha sempre funzionato.


E fin qui, beh.

Però poi ci sono anche gli altri.


Hai presente quelli che danno l'anima?
Che l'anima se la dannano sul tatami, magari che capiscono poi con il tempo che devono evolvere, cambiano tutto ma continuano a dannarsi l'anima e allenarsi, e prendono e danno botte, e riprovano per la decimillesima volta quel movimento perché "Non viene come dovrebbe", e quando viene lo riprovano perché se no è un caso.

Quelli che quando non si allenano tengono sempre un po' di testa libera per pensare a quel che fanno.

Che quando camminano per strada in mezzo alle persone, invece che ficcare la testa nello schermo del loro cellulare, cercano di sfruttare le conoscenze acquisite per muoversi meglio e passare fra la gente senza sbattere contro nessuno. O senza prendere a spallate.

Quelli che vedono dei ballerini in video e pensano "Cavoli, e io credo di avere un buon controllo muscolare? Che vergogna".

Quelli che vanno al di là degli insegnamenti del loro maestro, quando capiscono che è l'ora, e vanno avanti, prendendo il karate che hanno imparato e facendolo diventare "loro".

Quelli che a un certo punto non possono più andare in palestra perché il lavoro non glielo permette, e iniziano a ritagliarsi ore, mezz'ore, venti minuti al giorno per lavorare.

Quelli che capiscono che è inutile tirare diecimila colpi se sono troppo deboli, e affiancano un serio lavoro di preparazione fisica.

Quelli che affrontano il disprezzo e alle volte gli insulti di maestroni, zeloti, ex compagni, perché hanno trovato qualcosa che su di loro funziona ma è "troppo avanti" e "non è marziale" secondo le idee dei personaggi di cui sopra.

Quelli che per anni sono stati praticanti che oh ma davvero? E si accorgono che al di là del loro piccolo spazio c'è un universo che aspetta solo di essere esplorato e iniziano.

E poi quei maestri che invece di tenerti chiuso nel piccolo spazio ti spronano a uscire, a valutare, ché al mondo non ci sono solo loro.

Quei maestri che non hanno paura di cambiare, anche tutto, anche radicalmente, perché hanno toccato con mano che non basta.

E magari, dopo vent'anni di pratica, ti dicono "Mentore, io quel che potevo insegnarti te l'ho insegnato sia di karate che di taiji: ora tocca a te".

Ecco, a loro dico grazie.
E mo' basta, che sto diventando melenso.

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